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La Lectio Magistralis di Aldo Masullo

3 Feb , 2015,
ICM
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Si discute d’inquietudine, all’Istituto Meridionale di Cultura di Napoli, con il filosofo Aldo Masullo.

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Giacché il tema si presenta inquietante, l’illustre studioso esordisce dicendo che gli esseri umani desiderano essere tutelati e anelano alla quiete.

Ma di quale quiete si parla?

Il filosofo partenopeo tocca il nucleo della questione: la quiete di cui si tratta non è certo l’immobilità nel senso dell’inerzia, ma una quiete che nasce dal non essere disturbati o, per meglio dire, ostacolati nella propria tendenza ad agire, a produrre, a creare.
L’uomo, in altri termini, desidera essere protetto nei riguardi di questa esigenza, difendendo il suo spazio di libertà. Impedire che ciò accada equivale ad alterare la sua quiete.

Fin qui le cose sembrano funzionare, ma presto l’autore di Struttura, soggetto, prassi ci chiede di compiere un passo in avanti.
L’uomo non può definirsi tale, dice, se non instaura una relazione attiva con l’altro. Eppure, nel momento in cui questa relazione si stabilisce, nasce la possibilità del conflitto e dello scontro. Se da un lato, quindi, la relazione rende possibile l’espansione della nostra libertà, dall’altro porta in sé una possibilità di conflitto.
Si può dire meglio: ciò che ci assicura la realizzazione della quiete ha in sé la minaccia della sua rottura.

Domandiamo al filosofo se l’uomo è destinato a essere sempre inquieto.
Masullo è risoluto: l’inquietudine, dice, è come una dimensione trascendentale dell’uomo. Non è possibile, cioè, pensare all’uomo senza pensare all’inquietudine. A differenza delle altre specie, gli uomini sono gli unici portatori d’inquietudine e votati per questo alla solitudine, sentenzia.

Allora, dove si colloca la felicità?
La felicità, da felix, fecondo, produttivo, risiede nella creatività. La quiete dell’uomo, che è la libertà di agire, sarà, dunque, la libertà di essere felici nella produzione e nella creazione.
Adesso un nuovo passo. Nella sua libertà di creare, l’uomo non si limita a conservare ma tende a trasformare sé e il mondo. Una nuova questione si pone: creando e trasformando il mondo egli turba, di fatto, l’ordine esistente. L’uomo ha in sé, come è stato avvertito dalla civiltà greca, un potere perturbante, per meglio dire, egli stesso è stato identificato con questo potere. Tuttavia solo attraverso questo processo è possibile l’inaugurazione della storia, diversamente la natura non avrebbe concorrenti.

Ma l’uomo riesce a trasformare se stesso?
A parere del grande fenomenologo, non vi riesce, benché egli sia impegnato in questa attività per l’intera vita.

Nella parte finale della relazione, il professore Masullo rincara la dose, accennando a una forma d’inquietudine che non è esattamente antropologica. Si riferisce a un’inquietudine verso la quale siamo incapaci di dare risposta: l’introduzione del digitale nella nostra esistenza.

La nostra vita è padroneggiata da un numero infinito di numerazioni, che ha il potere di ridurre in quantità le qualità della realtà. Non c’è più, ad esempio, il colore rosso, avverte Masullo, ma una quantificazione di questa qualità tradotta in numeri e la cosa potrà accadere anche alla nostra persona. Siamo dinanzi a unDio impazzito, senza alcuna intelligenza prospettica, verso il quale siamo impossibilitati a stabilire una relazione.

La vera ragione d’inquietudine del nostro presente, conclude, è il non aver nessuno con il quale “mettersi a ragionare”.

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